di Margherita De Donato
Agatino, Mario, Antonio, Anna e Filippo sono solo alcuni dei protagonisti di “Guida pratica all’eternità” di Fabrizio Centofanti (ed. Effata). I diciannove racconti, sospesi fra cielo e terra, scaturiscono dalla vita vissuta ma anche dalla fantasia dell’autore, che immagina di sapere per certo che il 21 dicembre 2012 avverrà qualcosa di anomalo. Non il Giudizio universale, non la fine del mondo, ma un cataclisma interiore ci travolgerà, inducendoci a dare un giudizio personale di noi stessi.
Ecco allora che davanti ci scorrono i volti di questi personaggi piegati dalla durezza di una vita che nulla ha regalato loro; ma anche i visi di Franca e suor Luigia, che hanno lavorato a fianco dello scrittore nella “canonica paradiso”. Su tutti vigilano sempre gli occhi di don Mario, aperti su quel regno dove si entra senza trucchi.
“Di fronte allo scatenarsi dell’evento, emergono domande prevedibili: che ho fatto nella vita?… Vengono in mente situazioni in cui avrei potuto ascoltare, intervenire, occuparmi di qualcuno o di qualcosa. Ma la pigrizia, la fretta, l’ambizione, hanno messo impedimenti invalicabili, accumulato strati su strati di opere inevase…” Così s’interroga lo scrittore Centofanti, sacerdote diocesano ordinato a Roma nel 1996, dopo la laurea in Lettere moderne con una tesi su Italo Calvino. L’unica risposta plausibile che scaturisce è quella della gratuità dell’Amore, di cui già aveva trattato ne “Le parole della felicità – frammenti di vita nello Spirito” (ed. Laurus Robuffo) per rispondere all’ esigenza di comprendere la dottrina cristiana attraverso un linguaggio legato il più possibile alla vita. Un autore da conoscere; due libri da tenere a portata di mano perché – come si legge nella prefazione – “la dignità degli ultimi sia per davvero”. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior, cantava un altro Fabrizio: De Andrè.
Cara Stella, non riesco a dirti altro che “grazie” per questa recensione di Titti. Siete speciali entrambe.
In un testo in fondo breve, lei è riuscita a dire, in modo coinvolgente, l’essenziale riguardo al libro e riguardo all’autore.
La domanda: “Che cosa ho fatto nella vita?”, se la pone lo scrittore, che credo stia spendendo molto bene la sua, e noi, ahimè, quante cose avremmo potuto fare e non abbiamo fatto? Veramente questa domanda mi fa entrare in crisi. Poi mi dico che forse è proprio un bene essere costretti alla riflessione.
Un abbraccio a te e a Titti, che spero stia meglio.
A presto. Piera
Donne, ci sono anch’io,non vorreste per caso lasciarmi fuori dalla conversazione? 🙂
Dice bene Titti, due libri da tenere a portata di mano, da sfogliare ogni qualvolta sentiamo la necessità di tenere a bada il nostro egoismo.
un bacio care signore e apresto
jolanda
lasciarvi fuori?
giammai.
si Titti dice bene e per questo ho ritenuto che quanto da lei scritto non potesse essere solo il commento alla pagina dedicata al libro di Don Fabrizio.
ora ho la conferma che meritava un posto in primo piano ovvero un bel post in prima pagina
grazie di cuore, lo dirò a Titti, ne sarà felice
Stella