1990, Ottobre
Una stretta striscia d’asfalto nei pressi di Postdamer Platz sotto un cielo plumbeo e nuvole cariche di pioggia di una giornata grigia ed uniforme come molte altre.
La mercedes accostó silenziosa al marciapiede, l’uomo alla guida spense il motore, scese, e si avvicinò alla struttura in cemento armato alta quattro metri. Portava un completo scuro, un morbido cappotto in cachemere ed un cappello a tesa larga. Giuno a ridosso del muro si volse alla figura immobile dietro i vetri oscurati. Un vortice di sensazioni nello spazio d’un respiro, poi tornó a concentrarsi sull’immagine fra i graffiti multicolore.
Ventisette anni, il tempo cambia molte cose.
Da cosí vicino, quel muro, incuteva ancora un certo timore anche se distrutto dall’esercito e defraudato dai mauerspechte.
Ventisette anni…una pioggia finissima, come nebbia leggera, prese ad avvolgere ogni cosa e quasi impercettibile, una lacrima, scese a segnargli il volto.
1963, Giugno
Christophe si era presentato a casa sua a tarda sera ed aveva bussato piano tre volte, in rapida successione, pur sapendo che l’amico viveva solo da quando i genitori erano morti. E non ra affatto da escludere che fosse stato quello il momento in cui nella sua mente aveva iniziato a prender forma l’idea di andarsene, di saltare al di là di quel muro maledetto rischiando una fuga che lo avrebbe accusato di delitto contro lo stato.
<< Ma perché proprio domani ? >> gli aveva chiesto nel pomeriggio.
<< Perché domani, di lá, arriva il presidente degli Stati Uniti … magari chi sta di guardia ha gli occhi da un’altra parte. >>
Aperta la porta Vik se lo era trovato davanti in pantaloni di tela, giubbotto, e un involto di carta marrone in mano. Una bottiglia, aveva pensato. Una bottiglia per festeggiare la partenza. Invece no. Quando lo aprì il pacchetto riveló un copricapo morbido dalla forma tonda con una piccola visiera a mezzaluna.
<< Un cappello ? >> gli chiese senza celare lo stupore
<< Ma…perché ? >>
<< Ad esempio perché è morbido, caldo e di ottima fattura. Poi è italiano, il migliore che c’è in Eurpoa e pure in America sai. Gli italiani la chiamano coppola… vale un sacco di soldi >>
Viktor lo fissava senza parlare.
<< E’ un regalo – disse Chris porgendoglielo – un regalo d’addio >> aggiunse poi sottovoce.
Viktor lo prese fra le mani, lo rigiró, se lo mise in testa. Poi sorrise.
<< Come mi sta ? >>
<< Da cittadino del mondo libero… L’ho comprato da un turista. Guarda, ha una piccola tasca qui nella fodera, puoi metterci del denaro se vuoi…in ogni caso vale qualcosa e, Dio non volesse, se ti trovassi nei guai potrai sempre venderlo e ricavarne un bel gruzzolo >>
Christophe gli diede ancora una busta con una lettera per una sua parente nella zona francese di Berlino Ovest. Poi si abbracciarono, con la promessa di Viktor sussurrata a mezza voce di non perdere mai quel cappello.
Nell’aria fresca della notte, insolita per la stagione, con le mani in tasca e lo sguardo rivolto in basso Christophe si ritrovó a camminare, perso senza meta nei frammenti del passato, fra le strade deserte di una cittá semibuia. Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato quando si guardó intorno, era nei pressi della Marx-Engels-Platz. Trovó una panchina, si sedette, e lasció che cuore e polmoni ritrovassero un ritmo accettabile.
Non aveva bisogno di cercare, sapeva che non era lontana. Attese lunghi, interminabili minuti sino a quando la notte non gliene portó il profumo, allora si alzó e se la trovó di fronte giovane, bionda, sinuosa da mancare il respiro.
<< Tutto bene amore ? >>
<< Tutto bene >> rispose Chris
Lei lo bació, poi si abbandonó al petto di lui come a cercarne rifugio.
Stretti l’uno all’altra restarono immobili a lungo, senza guardarsi, sino a quando la voce della donna non ruppe nuovamente il silenzio
<< Mi dispiace Chris, mi dispiace davvero ma capisci che non abbiamo scelta. Sospettano gia di me e se non li depistiamo in qualche modo…sai cosa potrebbero farmi vero >>
<< Lo so, lo so. E’ che…>>
<< Sei preoccupato per Vik >>
<< Tu non lo saresti ? E’ un fratello per me >>
<< Non gli accadrá nulla di male vedrai. I cani avranno il loro osso ed in quanto a Vik beh, in qualche modo lo tireremo fuori dai guai, te lo assicuro >>
<< Vorrei avere le tue certezze >>
<< Quei documenti – disse prendendogli la testa fra le mani e fissandolo negli occhi – sono l’unica possibilitá per me…per noi >>
Chris chiuse gli occhi e rivide Vik con la coppola in testa, il petto in fuori ed il mento all’insú in una goliardica imitazione dell’uomo d’affari.
Come mi sta ?
<< E’ importante – riprese lei – che non riesca a…>>
Ssst ! – Le intimó Christophe posandole l’indice sulle labbra, poi la strinse a sé e si baciarono, a lungo, sino a che furono sazi uno dell’altra.
<< Vai ora >> le disse << E’ tardi >>
La ragazza gli rivolse ancora uno sguardo, caldo e carico di desiderio, poi scomparve nella notte lasciando l’aria pregna del suo profumo fruttato.
Chris si lasció andare sulla panchina con la testa all’indietro, un manto di stelle vegliava la notte di quella loro cittá divisa e le immagini scorsero nei suoi occhi come in un cinemascope d’epoca.
Come mi sta ? – Due bambini che giocavano
Come mi sta ? – Un ragazzo in uniforme,giovane copia di se stesso.
Come mi sta ? – Poi quel giovane in un letto d’ospedale ed una splendida infermiera, troppo brava con l’inglese.
Come mi sta ? Come mi sta ? Come mi sta ?
Serró le dita sul metallo freddo sino a che le nocche non gli divennero bianche ed il dolore placó ogni pensiero.
1963, 15 Giugno
Una fila di berline scure, motociclette ed auto della polizia a sirene spiegate, gente alle finestre che salutava lanciando strisce di carta a mo’ di coriandoli: una tensione strisciante che si avvertiva nonostante tutto fosse stato preparato con cura nei minimi dettagli.
Il Presidente era arrivato.
Almeno cosí si intuiva perché di John Fitzgerald Kennedy, primo presidente cattolico degli Stati Uniti d’America, altro non s’era visto che una sagoma indistinta dietro i vetri antiproiettile, scuri come il resto del servizio d’ordine. E nulla di piú si sarebbe visto sino a quando lui, l’uomo piú potente del mondo insieme al suo alter ego sovietico, sarebbe salito sul palco per il tanto atteso discorso ai berlinesi.
Dall’altra parte, come aveva confidato all’amico, Vik contava anche su questo per far si che i suoi movimenti non fossero il passatempo preferito delle guardie di confine. Il piano era di per sé piuttosto semplice.
Zimmerstrasse, vicino al muro. Il posto ideale.
Intrufolatosi di prima mattina in un laboratorio di falegname che sapeva esser chiuso per alcuni giorni Viktor trovó un posto da dove osservare le sentinelle per saltare dalla finestra al momento opportuno direttamente nella striscia della morte. Da lí in poi avrebbe dovuto attraversarla correndo il piú velocemente possibile ed arrivato al secondo muro alto appena due metri arrampicarsi, superare il filo spinato e ricadere quindi nel quartiere di Kreuzberg vicino al Checkpoint Charlie.
Tutto lí.
Sbirció fuori dalla finestra, calma piatta e nell’aria l’eco delle parole del presidente.
…ci sono molte persone al mondo che non comprendono, o non sanno, quale sia il grande problema tra il mondo libero ed il mondo comunista. Lasciateli venire a Berlino…
Lungo il camminatoio del posto di guardia, Rolf Schabowsky passeggiava nervoso. Alcuni metri e guardava l’orologio. Una rapida perlustrazione con i binocoli, ed un’altra decina di passi stavolta nella direzione opposta. Poi, un’ultima controllata all’orologio. Quando lo avevano avvisato che un giovane avrebbe tentato proprio quel giorno di attraversare il confine nella zona di sua competenza l’idea della caccia all’uomo gli aveva procurato una sorta d’eccitazione e di crescente inquietudine.
Le undici. Nessuno in strada e le guardie avevano appena concluso un giro di controllo. Era quello il momento pensò Victor.
Perlomeno, uno valeva l’altro per quanto ne sapeva lui, se doveva andargli male…aprí la finestra. Un alito di vento fresco disperse per un istante un leggero turbinio di trucioli portandogli alle narici l’odore di colla e legno tagliato. Si caló bene in testa quello strano cappello che gli aveva regalato il suo amico …come lo aveva chiamato Chris? Ah giá, coppola. Di una fabbrica del nord Italia che serviva i piú famosi personaggi del mondo: politici, uomini d’affari, attori, gangsters, fors’anche lo stesso presidente degli Stati Uniti.
Ed ora anche da lui, Bohme Viktor. Cittadino di Berlino est.
Saltó.
…ci sono alcuni che dicono che, in Europa e da altre parti, possiamo lavorare con i comunisti. Lasciateli venire a Berlino…
Schabowsky regoló lentamente la messa a fuoco, quindi posó il binocolo abbozzando un sorriso. Da quando le guardie erano state autorizzate a sparare i temerari erano diminuiti considerevolmente ed anche la voglia di quell’occidente senza regole e valori aveva vacillato non poco di fronte alla bocca di un fucile.
Con un ghigno beffardo osservó il malcapitato lanciarsi nella corsa. Era stato un membro della Volkpolizei ad avvertire il suo capo plotone e Schabowsky, in un primo tempo, s’era risentito quando gli era stato specificato cosa il tizio avrebbe indossato e persino con quale assurdo copricapo si sarebbe riparato il viso. Credevano forse non fosse in grado di scorgerlo senza tutti quei particolari? Tra l’altro fra le guardie girava anche la voce che proprio il cappello fosse la cosa a cui il tipo dei VOPS teneva di più.
Se lo volevano così tanto il giovanotto poteva impiombarglielo al primo colpo e glielo avrebbe fatto saltare via dalla testa il suo bel cappellino.
Viktor corse. Corse a perdifiato in quella strscia di terreno nudo come il velocista di una gara olimpica, senza medaglie ma con un bene molto piú prezioso in palio. Giunto circa a metá tragitto provó il desiderio di guardarsi intorno per controllare se qualcuno lo avesse individuato ma si trattenne all’ultimo istante, non poteva permettersi di rallentare ed inoltre non vedere gli dava l’impressione di poter non esser visto. Almeno, cosí voleva credere.
Il fuggitivo era arrivato a metá strada ed in pochi istanti avrebbe raggiunto il secondo muro decisamente piú facile da scavalcare, Shabowsky pensó che era giunto il momento di avvertire la squadra. Qualche colpo di fucile vicino alle gambe intanto, lo avrebbe rallentato a sufficienza per dar tempo ai colleghi d’intervenire ed intercettarlo.
Estrasse la ricetrasmittente dalla cintura avvicinandosela alla bocca ed in quell’istante una mano guantata lo bloccó. Voltatosi, si ritrovó di fronte il capo del reparto in persona. Era importante davvero il giovanotto se si scomodava addirittura un pezzo grosso; poco male, se voleva impartire lui stesso l’ordine non avrebbe avuto nulla da obiettare. Fece il gesto di passargliela ma quello, con sua sorpresa, la rifiutó.
Viktor percorse gli ultimi metri al massimo dello sforzo e con il cuore in gola. Il petto pareva scoppiare ed i polmoni bruciavano ad ogni respiro ma nulla importava ormai, il secondo muro era lí a portata di mano, dopo avrebbe riposato quanto voleva.
Ancora una manciata di passi, l’ultimo sforzo, quando un rumore secco laceró l’aria.
Anni di addestramento, fisico e psicologico, il veterano del suo plotone. Nulla gli sarebbe stato impossibile, almeno così credeva. Ora che però il suo capo in persona glielo ordinava ecco…era difficile. Il fucile si fece improvvisamente pesante, era tutt’altro che semplice uccidere un uomo a sangue freddo ed alle spalle, mentre fuggiva.
Sudava.
Con sforzo enorme si costrinse a rimanere lucido. Se lo volevano morto era perché non potevano permettersi che riuscisse a passare di là, forse era una spia e stava trafugando informazioni vitali.
In ogni caso non competeva a lui sapere e giudicare.
Inquadrò la figura nel mirino e sparò.
…e ci sono anche quei pochi che dicono che è vero che il comunismo è un sistema maligno, ma ci permette di fare progressi economici, Lasst sie nach Berlin kommen !…
Colpito da un maglio invisibile, Vik scartó improvvisamente di lato perdendo l’equilibrio e rovinando a terra. Rotoló alcuni metri senza controllo sino a fermarsi proprio contro l’ultimo baluardo verso Berlino Ovest. La gamba gli bruciava, raccolse il cappello li vicino e se lo mise in testa, quindi restó immobile alla base del muro sperando di offrire un bersaglio piú difficile al cecchino. Un turbinio di pensieri gli vorticava in testa e nessuno era positivo. Lo avevano individuato e sapeva quello che lo attendeva se lo avessero arrestato, valeva la pena rischiare la vita piuttosto che tornare indietro. Era ferito alla gamba destra, sanguinava copiosamente ma riusciva a muoverla abbastanza bene, poteva tentare di saltare al di lá. Trasse un respiro profondo e socchiuse gli occhi passando in rassegna le postazioni delle guardie ma era pressochè impossibile individuare da dove provenissero gli spari..
Attese ancora un istante riempiendo nuovamente d’aria i polmoni, poi con uno scatto si issó in piedi e si arrampicó verso la salvezza.
Il secondo sparo arrivó quando era ormai certo d’avercela fatta.
Fu colpito al bacino ed il dolore fu ancora piú inteso di prima. Come in una scena al rallentatore vide le dita lasciare una ad una lentamente la presa e la sommitá del muro allontanarsi sempre di piú. Ora non sentiva piú le gambe. Era finita, non avrebbe mai raggiunto Berlino Ovest, mai piú.
Facendo appello a tutte le sue forze si tolse la coppola e la lanció in aria, verso la libertá.
Vik cadde all’indietro nella striscia della morte e vi rimase per un’ora, in vista dei cittadini occidentali che si erano radunati al rumore degli spari, di alcuni giornalisti che si trovavano in zona per la visita di Kennedy ed ovviamente delle guardie di frontiera che intervennero solo quando furono sicure che fosse morto.
Il cappello, con il denaro, la foto dei suoi genitori e la busta di Chris, dopo essersi librato in una parabola che lo portó sin quasi a scavalcare il muro, discese lentamente come sospeso nell’aria, colpí il bordo di cemento e ricadde a pochi metri dal corpo di Vik.
…tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso di dire, Ich bin ein Berliner !
1990, Ottobre
Su quanto restava del vecchio muro di Berlino, ormai agonizzante di turisti, un’immagine colpiva l’occhio piú di altre. Dipinto a colori vivaci, un giovane spiccava un salto e protendendo la mano gettava al di lá del muro una coppola con i colori della bandiera tedesca mentre un soldato, bendato da una fascia rossa con falce e martello, puntava il fucile.
Viktor Bohme, lasciato morire dissanguato sotto gli occhi di decine di persone e quel cappello lanciato verso la libertá erano divenuti un’icona, legati indissolubilmente l’uno all’altro.
Con alterne fortune altri berlinesi dopo di lui avevano tentato la fuga ed i piú temerari, a mo’ di sfida, proprio nel punto in cui campeggiava il murale.
Una leggenda metropolitana voleva infine che proprio un cappello come quello di Vik fosse stato il dono fatto da un gruppo di studenti ad un’attonita guardia di frontiera il 9 novembre 1989, giorno dell’apertura dei checkpoints verso la parte ovest.
Poche persone, peró, conoscevano la veritá.
L’aria odoró di un lieve profumo fruttato e l’istante seguente la donna lo cinse in vita baciandolo delicatamente sul collo.
<< Christophe Wollner – disse a voce bassa – non puoi torturarti all’infinito >>
<< Non doveva finire cosí, non era quello che volevo >>
<< Lo so, nemmeno io volevo la morte del tuo amico ma…quel cappello ed il suo contenuto, sono stati il passe-partout per il nostro futuro>>
<< Un futuro costuito sul sangue >>
<< Ed un sangue non versato invano. Hai visto cosa è diventato Vik, una sorta di baluardo della libertá. Forse lo avrebbero preso comunque e se i soldati non avessero trovato nel cappello i documenti che tu avevi preparato per avallare la mia copertura, Charlie avrebbe avuto una spia in meno e tu…forse una moglie piú bella >>
L’affermazione riuscí a strappare un sorriso a Chris, il primo di quella giornata. Ma la donna aveva ragione. Aveva fatto una scelta e con essa aperto una ferita che solo il tempo, forse, sarebbe riuscito almeno in parte a lenire.
Si voltó verso di lei, la conosceva da anni ed era ancora molto attraente, solo piú stanca.
Stretti l’uno all’altra come molti anni prima in Marx-Engels-Platz, questa volta fu lui a cercar rifugio nel suo petto per poi accostarle delicatamente le labbra all’orecchio e sussurrare
Ich bin ein berliner
Berlin Mauer è tratto dalla raccola di racconti di autori vari dal titolo Colpi di Testa a cura di Angelo Marenzana e Mauro Smocovich, edizioni noUbs, collana le Alpi, 2007.
Paolo Campana vive e lavora ad Alessandria con la sua famiglia. Nel 2006 ha pubblicato racconti online sulla rivista Orient Express, sul settimanale Cronaca Vera e sulle antologie Criminalcivico (ed. osiride, 2006) e Giallomilanese (ed. ExCogita, 2006)
Sono contento di aver scoperto questo blog